Non chiamarla più così: ecco il termine corretto e rispettoso per indicare questa professione

Negli ultimi anni si è assistito a una crescente attenzione verso il linguaggio rispettoso delle professioni, con particolare sensibilità alle declinazioni di genere e alla valorizzazione delle competenze di ciascun ruolo. Il modo in cui nominiamo una professione racchiude non solo una questione linguistica, ma anche culturale, sociale e identitaria, e può influenzare la percezione pubblica di chi la esercita. Utilizzare termini aggiornati e corretti significa riconoscere la dignità di ogni mestiere, promuovere l’inclusione e abbattere i pregiudizi che a lungo hanno attraversato il mondo del lavoro. Ma qual è il termine corretto e rispettoso per una determinata professione, e perché è importante non usare più certe espressioni del passato?

L’importanza di un linguaggio professionale preciso e inclusivo

Secondo studiosi e specialisti delle scienze sociali e linguistiche, il modo in cui una professione è denominata riflette i valori di una società e ha un impatto concreto sull’inclusività. Utilizzare il maschile come forma presunta neutra non sempre rende giustizia a chi svolge una professione, specialmente quando moltissime donne oggi ne fanno parte. Viene quindi incentivato l’uso dei nomi di professione al femminile laddove appropriato, come testimoniano linee guida ufficiali e raccomandazioni accademiche, ormai adottate da numerosi ordini e collegi professionali.

La distinzione tra mestiere e professione va spesso oltre il semplice aspetto pratico: la professione implica generalmente un percorso di studi regolamentato, competenze certificate e spesso l’appartenenza a un albo professionale. La corretta denominazione, oggi, si basa non solo sulla formazione richiesta, ma anche sul rispetto dell’individualità della persona che ricopre il ruolo.

Declinazioni di genere: una questione non solo linguistica

Per molti decenni, termini come avvocato, ingegnere, medico, notaio sono stati usati al maschile, anche per riferirsi a donne. Oggi però, le regole grammaticali della lingua italiana permettono e sostengono la traslazione al femminile dei nomi di professione, senza timori di errori o storture sintattiche: “avvocata”, “ingegnera”, “medica”, “notaia” sono esempi corretti e ormai sostenuti da grammatiche aggiornate, dizionari contemporanei e linee guida delle principali istituzioni.

Secondo la sociolinguista Vera Gheno, “in italiano si dice avvocata”. Questa posizione è condivisa da numerosi linguisti, che ritengono fondamentale adottare la terminologia al femminile quando l’interessata lo richiede e quando è funzionale a rendere palese la presenza femminile nella professione. Del resto, anche i movimenti per i diritti civili e la parità di genere sostengono che la visibilità nei nomi aiuti a sradicare stereotipi secolari sulle abilità e i ruoli delle donne nel mondo del lavoro.

Quando usare il maschile e quando il femminile

  • I nomi di professione terminanti in -o al maschile prendono la -a al femminile. Esempio: ‘Prefetto’ diventa ‘Prefetta’, ‘Avvocato’ diventa ‘Avvocata’.
  • Per termini invariabili o già neutri, si può procedere aggiungendo la parola “donna” o “uomo” solo se strettamente necessario.
  • Per professioni che tradizionalmente hanno posseduto una connotazione maschile ma che vedono ampia partecipazione femminile, è consigliabile utilizzare la forma femminile quando ci si riferisce a una donna.

Correttezza, rispetto e aggiornamento terminologico

Una questione centrale riguarda anche il rinnovamento dei termini: alcune espressioni, pur molto usate in passato, sono state progressivamente sostituite, sia per evitare connotazioni negative che per conformarsi a nuove conoscenze e sensibilità. Alcuni esempi:

  • Il termine “segretaria”, un tempo usato genericamente per ruoli amministrativi femminili, oggi lascia il passo a “assistente amministrativa” o “assistente di direzione”, che valorizzano meglio le competenze professionali e riducono i pregiudizi associati a una declinazione di genere.
  • Allo stesso modo, “bidella” è un termine legato a stereotipi superati: la denominazione aggiornata è “collaboratrice scolastica” o “collaboratore scolastico”, usata nei documenti ufficiali e nei contratti collettivi.
  • Per le professioni sanitarie, il vecchio termine “infermiere professionale” viene oggi sostituito semplicemente da “infermiere” o “infermiere/a”, riconoscendo la professionalità sia nel maschile che nel femminile senza aggettivi riduttivi.

Molte denominazioni “storiche” sono state riviste anche per rappresentare meglio le competenze tecniche e rendere più internazionale la professione, come nel caso di “operatore socio-sanitario” al posto di espressioni ormai obsolete.

Evoluzione normativa e ruolo degli ordini professionali

In Italia, la regolamentazione delle professioni è molto dettagliata e affidata spesso a ordini professionali riconosciuti dallo Stato, in maggioranza per le professioni intellettuali. L’appartenenza a un ordine implica non solo il rispetto di precisi requisiti formativi e deontologici, ma anche l’adozione di una terminologia condivisa, aggiornata e rispettosa della persona che svolge la professione.

Gli albi professionali registrano sia uomini sia donne e sono, negli ultimi anni, molto attenti a utilizzare la dicitura corretta nel riconoscimento dei titoli e nelle comunicazioni ufficiali. Anche i contratti collettivi, gli statuti e i regolamenti interni delle associazioni di categoria recepiscono questa tensione verso l’aggiornamento terminologico, imponendo sempre più spesso il ricorso a formule inclusive e non discriminatorie. È oggi considerato imprescindibile evitare tutte quelle denominazioni che richiamano stereotipi di genere, ruoli marginali o un lessico superato dalla società contemporanea.

Non meno importante è il ruolo della formazione: università, corsi di aggiornamento e master incoraggiano l’utilizzo di un linguaggio professionale neutro e inclusivo, in quanto consapevoli che il modo in cui ci si rivolge ai colleghi e ai clienti rappresenta un aspetto fondamentale dell’etica e della responsabilità sociale del lavoro.

Impatto sulla società e sulla percezione della professione

Chiamare una professione con il termine corretto e rispettoso non è semplicemente una questione di forma, ma incide profondamente sulla percezione sociale di quel lavoro. Un nome valorizzante aumenta l’autostima di chi svolge la professione, aiuta ad abbattere le barriere di genere e favorisce la crescita di una cultura più equa e rappresentativa.

Soprattutto nei contesti pubblici, come la stampa, la televisione, i documenti istituzionali, adottare termini aggiornati e rispettosi rappresenta un elemento di responsabilità sociale: testimonia l’impegno verso una società che rifiuta i linguaggi degradanti o riduttivi, e promuove invece l’uguaglianza delle opportunità e la ricchezza delle differenze individuali.

In definitiva, il linguaggio professionale è uno strumento potente per rafforzare rispetto e valorizzazione reciproca nel mondo del lavoro. Avere il coraggio di modificare abitudini linguistiche radicate, aggiornare i termini utilizzati e promuovere una denominazione corretta per ogni professione significa essere parte attiva di una società più giusta, inclusiva e consapevole.

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